Contratti Compravendita Immobiliare



 

 

 


Liberalizzazioni, è battaglia tra notai e banche 
Così potrebbe cambiare il mercato immobiliare

Liberalizzazioni, è battaglia tra notai e banche , Così potrebbe cambiare il mercato immobiliare.
Il governo liberalizza i contratti immobiliari, colpendo i notai che ne avevano l’esclusiva. E i danneggiati dietro l’operazione vedono lo zampino degli istituti di credito e un rischio per la legalità del sistema

La posta in palio vale potenzialmente un miliardo e 200 milioni l’anno. La partita sulla liberalizzazione delle compravendite di immobili non residenziali di valore catastale fino a 100 mila euro, prevista dal disegno di legge sulla concorrenza, è solo alle prime battute. E potrebbe riservare più di un colpo di scena. Per questo i contendenti si preparano a una guerra di posizione: da una parte i notai, che finora avevano goduto di un’esclusiva; dall’altra gli avvocati, ammessi nel nuovo business un po’ a sorpresa.

L’Antitrust, nella sua relazione annuale al Parlamento, chiedeva alcune norme capaci di portare a un’ulteriore liberalizzazione del settore notarile, già avviata con le lenzuolate di Pier Luigi Bersani e proseguita sotto il governo Monti, che aveva definitivamente cancellato le tariffe. In particolare, dagli uomini di Giovanni Pitruzzella era stato auspicato l’ampliamento del raggio d’azione del singolo notaio dal distretto di corte d’appello alla regione, l’abolizione del fatturato minimo di 50 mila euro per l’istituzione di nuove sedi notarili, l’ampliamento della possibilità di ricorrere alla pubblicità (tutte richieste accolte).

Non avevano invece fatto cenno all’apertura agli avvocati del mercato delle compravendite immobiliari. La mossa ha preso in contropiede i notai, che dietro alla potente lobby dei legali in realtà vedono fare capolino pure un concorrente più insidioso e agguerrito: il sistema bancario, le cui capofila, Unicredit e Intesa Sanpaolo, si sono affacciate sul mercato del mattone.

Il business immobiliare non residenziale sotto i 100 mila euro di valore catastale (che corrisponde a un valore commerciale di 300-400 mila euro) è una piccola frazione di quello totale. Secondo i notai vale tra i 10 e i 12 miliardi l’anno. Mario Breglia, presidente del centro studi Scenari Immobiliari, è più cauto e parla di una torta da 4 miliardi e 560 milioni. Oggi quando uno dei 4.800 notai in attività stipula una piccola compravendita trattiene in media, secondo il presidente di Federnotai, Carmelo Di Marco, l’1,2 per cento dell’importo. Se si prendono per buone le quotazioni di Breglia, la liberalizzazione riguarda dunque per ora un business da circa 55 milioni l’anno. Troppo poco per solleticare l’interesse dei colossi del credito. Ma i notai temono che il cambiamento sia una sorta di grimaldello per arrivare alla progressiva apertura dell’intero mercato delle compravendite, comprese quelle abitative. Un business che, nonostante la crisi del mattone, vale qualcosa come cento miliardi l’anno.

Le banche, già snodo obbligatorio per chi ha bisogno di ottenere un mutuo, stanno organizzando il loro servizio immobiliare. Quando avranno completato il progetto si troveranno in una formidabile posizione di forza. Convincere i clienti che si presentano in filiale per chiedere un finanziamento e per farsi aiutare nella ricerca di un appartamento a trattenersi anche per la stipula del relativo contratto non sarà un’impresa difficile.

I notai rischiano così di trovarsi nell’angolo. Pazienza per i loro portafogli, dato che la categoria vanta un reddito medio lordo di 224 mila euro (i dati sono del 2012). Peccato invece per una serie di garanzie che hanno finora prestato al sistema. I registri pubblici italiani, alimentati dai dati dei notai, sono considerati un’eccellenza persino dalla Banca mondiale.

Il mercato nazionale delle transazioni immobiliari presenta un contenzioso limitato allo 0,003 per cento dei casi. E oltre nove segnalazioni antiriciclaggio su dieci effettuate da professionisti alla Banca d’Italia portano la firma di notai. Che nel 2014 hanno versato direttamente al fisco 6,5 miliardi di imposte sugli atti firmati. Ecco perché stavolta i signori della stipula, nella loro resistenza, potrebbero trovare più di un alleato.

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